La mano di Fatima – Ildefonso Falcones

 

 
Ho letto questo romanzo di Ildefonso Falcones un po’ di tempo fa ma non sono stata in grado di scriverne la recensione subito, a causa dei molteplici sentimenti che la storia ha saputo risvegliare in me. “La mano di Fatima” è un romanzo pesante, e non mi riferisco alla pur imponenza dello scritto (900 pagine!) né al modo di scrivere dell’autore, bensì proprio per la pregnanza degli argomenti.
 
 
Ildefonso Falcones

Veniamo alla sinossi:

Nei villaggi delle Alpujarras è esploso il grido della ribellione. Stanchi di ingiustizie e umiliazioni, i moriscos si battono contro i cristiani che li hanno costretti alla conversione. È il 1568. Tra i rivoltosi musulmani spicca un ragazzo di quattordici anni dagli occhi incredibilmente azzurri. Il suo nome è Hernando.
Nato da un vile atto di brutalità – la madre morisca fu stuprata da un prete cristiano –, il giovane dal sangue misto subisce il rifiuto della sua gente. La rivolta è la sua occasione di riscatto: grazie alla sua generosità e al coraggio, conquista la stima di compagni più o meno potenti. Ma c’è anche chi, mosso dall’invidia, trama contro di lui. E quando nell’inferno degli scontri conosce Fatima, una ragazzina dagli immensi occhi neri a mandorla che porta un neonato in braccio, deve fare di tutto per impedire al patrigno di sottrargliela. Inizia così la lunga storia d’amore tra Fatima ed Hernando, un amore ostacolato da mille traversie e scandito da un continuo perdersi e ritrovarsi. Ma con l’immagine della mamma bambina impressa nella memoria, Hernando continuerà a lottare per il proprio destino e quello del suo popolo. Anche quando si affaccerà nella sua vita la giovane cattolica Isabel…

Ildefonso Falcones non delude per l’accuratezza della ricostruzione storica e per la capacità di coinvolgere il lettore rendendo vivido il passato attraverso le vicende dei suoi personaggi.
Prima di parlare del romanzo è doveroso fare una premessa: in questo libro non ci sono i “buoni”.
Scordateveli.
Felipe III ritratto da Andres López Polanco

Vittime e carnefici si scambiano continuamente i ruoli per tutta la durata della storia e della Storia, non lasciando esenti dalle ombre dell’animo umano neppure i protagonisti (come è giusto che sia). Falcones è molto abile a raccontare le vicende che portarono alla risoluzione, da parte di Felipe III, di espellere dalla Spagna i moriscos, e lo fa in maniera super partes attraverso la vita e i sentimenti del protagonista Hernando, anche se talvolta questa scelta porta a far peccare il personaggio di eccessi di ingenuità.

La storia personale di Hernando parte già da un atto di violenza: lo stupro della madre da parte di un prete cattolico. Le incolpevoli origini del ragazzo bastano per fare di lui un reietto agli occhi della celata ma vitale comunità musulmana che lo chiamerà sempre con disprezzo “Nazzareno” e non dimostrerà mai di fidarsi completamente di lui. Tutta la vicenda del protagonista si può sistetizzare con il suo perenne tentativo di essere accettato quale “buon musulmano” dalla sua gente, prodigandosi prima nella copia e distribuzione clandestina di volumi del Corano, per arrivare infine al tentativo di manipolazione della Storia producendo false reliquie religiose con lo scopo di una futura accettazione del cosiddetto Vangelo di Barnaba, copia dell’autentica copia ricopiata che ha rinvenuto egli stesso in una torre.
Vangelo di Barnaba

Sia l’introduzione delle false reliquie che la datazione dell’epoca del suddetto testo apocrifo sono storicamente vere, come la presenza di motti musulmani sulle effigi di alcuni nobili granadini del tempo. Il buon Hernando entra infatti a contatto con una insospettabile rete segreta di musulmani i quali, spacciandosi per devoti cristiani, occupano posizioni molto elevate anche nei ranghi della nobiltà e della curia. La sua frequentazione degli ambienti cristiani, anche se per la “giusta causa”, e la sua fortuna presso di loro, valgono al protagonista solo una incompresa e pervicace ostilità da parte dei suoi compagni e delle persone a lui più care, non da ultima la madre che arriva a disconoscerlo.

Le amicizie con i cristiani e il loro favore, in realtà, avvengono più per caso che per volontà. Per esempio l’incontro e il salvataggio della piccola Isabel accade durante la rivolta delle Alpujarras, quando il giovane Hernando vede in lei solo una terrorizzata bambina resa schiava che lo muove a compassione. Analogo l’episodio in cui salva il nobile don Alfonso: Hernando si sta in quel frangente spacciando per cristiano per sfuggire alle attenzioni sessuali di un capo dei ribelli moriscos e la fuga congiunta con il nobile è solo un modo per salvare entrambi. Tuttavia questi “incidenti” ne fanno agli occhi del suo popolo un traditore, onta della quale non riesce mai a smarcarsi completamente.
Moriscos

La caratteristica del protagonista, unica tra i moriscos, è l’assenza di odio religioso precostituito ma, al contrario, la considerazione del prossimo quale semplice individuo, ognuno valido o gretto in base solo ai meriti personali. Hernando non rifiuta l’amicizia con le persone che incontra nel proprio cammino ed è un sincero sostenitore della pacifica convivenza tra cristiani e musulmani. Ne viene infatti ricambiato con affetto e stima da molti cristiani, cosa che suscita la gelosia e desiderio di rivalsa da parte di altri.

Le donne del libro.
Chiunque abbia letto un romanzo di Falcones sa che le donne sono le prime vittime, umiliate nella loro condizione e violentate nel fisico e nei sentimenti. Questo non per sadismo dell’autore ma per fedeltà di ricostruzione storica alla difficile condizione della donna, soprattutto quella delle classi sociali inferiori.
Colpisce la miserrima esistenza di Aisha, la madre di Hernando, anche se talune sue affermazioni (“È mio marito. Ha il diritto di picchiarmi”) e l’anteposizione dell’ideologia all’amore materno, rendono difficile solidarizzare con lei.
Non se la passa meglio Fatima. La ragazza, già vittima della lussuria del patrigno di Hernando, riesce a vivere un amore felice con quest’ultimo solo per alcuni anni. Poi scompare, trascinata dal suddetto patrigno sulle coste africane, in una vita di rassegnazione e violenza.
Espulsione dei Moriscos da Vinaros

Quello di Falcones è sicuramente un sapiente quadro della Spagna del XVI secolo, anche se commette forse l’errore di investire il protagonista dell’intera storia di un popolo: la vicenda personale di Hernando si intreccia con tutte gli accadimenti importanti del tempo che, nel loro complesso, sembrano eccessivi per la vita di un solo uomo. Troppi alti e bassi, fortuna e sfortuna, troppi contesti e amori diversi, cambiamenti di rotta. Troppi pregi e difetti.

Se si accantona per un attimo la questione religiosa, una lettura attenta del romanzo non può far ignorare come le vessazioni subite dai moriscos fossero in realtà le stesse di cui erano vittima i cristiani più poveri. La vera discriminazione, da sempre perpetrata ovunque, stava nello sfruttamento e nell’esercizio del potere a danno dei più deboli, contadini in primo luogo, indifferentemente quali fossero le loro origini. Stesso dicasi per l’inquisizione che colpiva chiunque ritenesse opportuno nonché la miseria che affliggeva tanto gli uni quanto gli altri tipi di credenti. Emblematica la figura del ragazzino cristiano storpio che accompagnerà Hernando negli anni maturi della sua esistenza.
In conclusione “La mano di Fatima” è un ottimo romanzo e ben scritto, il cui inconfondibile “stile Falcones” è già una garanzia di soddisfazione. Il testo può apparire talvolta prolisso e alcune scene particolarmente crude e violente, ma le vicende che vi vengono raccontate sono davvero tante, ciascuna delle quali merita il proprio spazio e la cura data alla sua rappresentazione. Durante la lettura non sono mai incorsa nel pensiero, che mi aveva colto invece ne “La regina scalza”, che una sforbiciata di qualche centinaio di pagine avrebbe giovato all’opera. Questo romanzo non raggiungerà forse le vette de “La cattedrale del mare”, ma trovo che non vi sia molto lontano.

Ne consiglio dunque a tutti la lettura, senza tralasciare le note storiche che l’autore pone alla fine, come in ogni suo romanzo. Si imparano davvero molte cose.

 

Titolo: La mano di Fatima

Autore: Ildefonso Falcones

Editore: Longanesi

Pagine: 911

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4 commenti

  1. Come te, anch'io ho letto questo romanzo di Falcones e avrei voluto scrivere una recensione sul mio blog, poi ho accantonato la cosa perché mi sentivo impari al compito. Anch’io, come te, ho letto tutti e tre i romanzi e ritengo che “La cattedrale del mare” rimanga il suo libro migliore.

    “La mano di Fatima” ha grandissimi pregi e altrettanto grandi difetti: il pregio massimo è quello della ricostruzione storica, e, dietro le quinte della narrazione, si sente tutta l’attenzione a una ricerca e documentazione che devono essere state immense. Si tocca con mano la crudezza delle situazioni, e la violenza dell’epoca, nei confronti delle minoranze, e delle donne, in cui si possono anche compiere dei paragoni. Di questo bisogna essere grati all’autore per aver portato alla nostra attenzione, tramite questo romanzo, la storia dei moriscos dell’epoca e del difficilissimo rapporto tra gli appartenenti alle due religioni, che, di volta in volta, compiono atti di violenza e tradimento.

    I difetti del romanzo: banalmente, ho sentito la mancanza di una mappa della zona per poter seguire gli spostamenti dei protagonisti durante le rivolte all’inizio. Venivano nominati continuamente piccoli paesi spagnoli, e certo non si può pretendere che un lettore si procuri una mappa in autonomia per leggere un’opera di intrattenimento. La carenza è tanto più forte in quanto la narrazione non è stanziale come avveniva ne “La cattedrale del mare”, dove c’era comunque una mappa di Barcellona, ma in continuo movimento. Ne ero confusa, e sono stata tentata di abbandonare il romanzo all’inizio. Un altro difetto è che il cattivo per eccellenza, non dico chi è ma tu mi capirai benissimo, viene liquidato frettolosamente in poche pagine dopo aver tormentato tutti, lettore compreso, nel corso dell’intero romanzo. A me questa cosa non è piaciuta, a livello narrativo, ma forse l’autore era sfinito. L’altro difetto è che c’è troppa carne al fuoco, come anche tu hai notato. A differenza tua, io ho trovato il romanzo troppo lungo… e nota che sono abituata a leggere romanzi vastissimi. In alcuni punti ho avuto la sensazione che la narrazione gli fosse sfuggita di mano.

    Comunque, onore all’autore per aver “compiuto l’impresa” senza dubbio degna di nota!

  2. Ciao Cristina. Sì, hai centrato il punto. Anche a me è sembrata frettolosa, più ancora che la fine del cattivo, la sorte dei figli di Hernando e Fatima. Non erano loro i protagonisti e il palcoscenico era senza dubbio la Spagna e non i mori africani, ma in un certo senso, vista la profondità della storia d'amore tra i due, mi aspettavo qualcosa in più dal "frutto" di questo amore. ma forse il romanzo sarebbe allora diventato di duemila pagine e non era il caso 😀

  3. Valeva la pena di farne una trilogia, secondo me. Visto che è Falcones e in considerazione del numero di copie che ha venduto con "La cattedrale del mare", io avrei fatto così. In questo modo il lettore poteva gustarsi il primo libro, il secondo e il terzo con maggior calma, e la casa editrice, insieme con l'autore, poteva curare meglio alcuni aspetti. Invece questo romanzo non finiva più! Un abbraccio, e grazie per il tuo bel sito.

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