Mondo scrittura: genesi e sviluppo del romanzo storico

Inaugura la rubrica Mondo scrittura l’articolo di Giampiero Lovelli sulla genesi e sviluppo del genere narrativo storico.

A parere dell’Enciclopedia Britannica un romanzo può dirsi storico quando: 

«è ambientato in un’epoca storica e intende trasmetterne lo spirito, i comportamenti e le condizioni sociali attraverso dettagli realistici e con un’aderenza ai fatti documentati. Può contenere personaggi realmente esistiti, oppure una mescolanza di personaggi storici e di invenzione»

mentre la Società angloamericana per la promozione e la tutela del romanzo storico, cioè la Historical Novel Society, afferma che: 

« per essere ritenuto storico, un romanzo deve essere stato scritto almeno cinquanta anni dopo gli eventi descritti, o deve essere stato scritto da un autore che all’epoca di tali eventi non era ancora nato e quindi ha dovuto documentarsi su di essi». 

Visto che si caratterizza per avere allo stesso tempo invenzione e realtà storica, quello del romanzo storico può definirsi un genere «ibrido». Il genere si fonda su una specie di promessa dello scrittore, cioè quella di mettere un freno alla propria immaginazione, che non può ignorare la verità storica. Il lettore sa perfettamente di non essere in possesso di un trattato di storiografia, eppure vorrà chiedersi quanta verità sia presente nei fatti raccontati e per gustare pienamente l’opera letteraria si dovrà completamente affidare alla penna del suo autore.


Il romanzo storico, genere fondamentalmente romantico, ebbe origine e si sviluppò durante l’Ottocento. In quel secolo la narrativa venne preferita alle diverse forme letterarie e specialmente la narrativa di ambientazione storica ottenne un alto gradimento. La sempre maggiore affermazione del pensiero e del metodo scientifico portò ad un notevole rinnovamento degli studi storici e ad un forte interesse per la Storia. In filosofia si riteneva oramai che il concatenarsi degli eventi nel tempo non fosse casuale, ma si rifaceva ad una logica precisa. Inoltre grazie alle grandi guerre si pensò all’esistenza dell’individuo come notevolmente condizionata dalla Storia. Infine il Romanticismo e i sentimenti nazionalisti seppero ricordare e far conoscere la passata grandezza dei popoli e fortificarono il senso storico degli scrittori, così che i moti rivoluzionari del secolo fecero ricorso ad una narrativa consapevole di proporre uomini e donne di spessore del passato da poter emulare.

«Waverley» (1814) del celebre scrittore scozzese Walter Scott, viene ritenuto il capostipite del romanzo storico. In seguito vennero pubblicati «Rob Roy» (1818) e «Ivanhoe» (1819). I romanzi di Scott conobbero un successo straordinario e si diffusero notevolmente in Europa, venendo tradotti in molteplici lingue e causando un discreto sviluppo di narrativa storica in alcuni paesi europei. Ritiene il filosofo György Lukács che Walter Scott fu il primo autore a non pensare la Storia come una semplice cornice all’interno della quale proporre situazioni moderne. Fino a Scott, nei romanzi ambientati in epoche passate, i pensieri, la psicologia e le azioni dei personaggi evidenziavano l’epoca nella quale viveva il loro autore. Scott, invece, non volle in alcuna occasione modernizzare le psicologie. Sa narrare  con maestria le condizioni di vita del periodo storico in cui colloca i suoi romanzi, in modo tale che i comportamenti che ne scaturiscono non appaiono al lettore solo come una pura curiosità storica, ma come importanti momenti evolutivi dell’umanità. Un ulteriore elemento caratterizzante la produzione narrativa di Walter Scott è la frequente e buona utilizzazione dei dialoghi.

In Germania vennero pubblicati diversi romanzi storici subito dopo la vasta diffusione delle opere di Scott. Cominciando dal 1834 quando Ludwig Rellstab (1799-1860) dette alle stampe il primo romanzo storico tedesco intitolato «1812». Non è possibile non menzionare il romanzo storico-umoristico «Le brache del signor von Bredow» di Willibald Alexis (pseudonimo di Wilhelm Häring, 1798-1871) ed in special modo «Witiko» di Adalbert Stifter. Nella seconda parte del secolo si ricordano le opere di Felix Dahn, tra le quali «Ein Kampf um Rom»

In Francia è opportuno citare in primis Alexandre Dumas (padre), che fu un fervente ammiratore di Scott per tutta la vita. Notevolmente influenzato da Scott, Dumas fece uso di ambientazioni storiche nel teatro (il suo «Enrico III e la sua corte» è da annoverare certamente come il primo dramma storico romantico) e successivamente nel «feuilleton». Il celeberrimo ciclo dei Moschettieri viene collocato nel Seicento, quello degli ultimi Valois nel tardo Cinquecento, mentre quello della Repubblica Partenopea, e quello di Maria Antonietta e della Rivoluzione, vengono posti nel tardo Settecento. Ma grazie al superamento del romanzo storico che in Francia ebbe origine la narrativa moderna. Importantissimo fu lo scrittore Stendhal, che evidenziò alcuni elementi negativi del genere, come la eccessiva propensione al pittoresco e quella a narrare vicende tragiche o melodrammatiche. Per Stendhal la storia non era niente altro che una fredda cronaca, mentre solo il romanzo poteva essere un vero documento, perché aveva la possibilità di rappresentare in maniera concreta atmosfere, passioni e drammi. Preferì pertanto soffermarsi, nei suoi romanzi, sull’epoca in cui viveva, o su un’epoca di poco precedente (come ne «La Certosa di Parma»), con il medesimo realismo e con la medesima attenzione per la psicologia dei personaggi che Scott creava con la sua fantasia per parlare di un’epoca passata. Stendhal fu un buon cronista e uno psicologo molto attento nel proporre personaggi e atmosfere. Tutto questo comportò il passaggio dal romanzo storico classico al romanzo sociale psicologico. Quanto detto da Stendhal venne recepito in particolar modo da Honoré de Balzac il quale, per György Lukács, compì il passaggio dalla «rappresentazione della storia passata», il cui scrittore più famoso fu Scott, alla «rappresentazione del presente come storia». 

La nuova era, quella del naturalismo e del verismo, iniziò con Gustave Flaubert e continuò con Émile Zola. Anche Victor Hugo scrisse un romanzo storico dal titolo «Notre Dame de Paris», romanzo allo stesso tempo gotico e medievale, nel quale si possono riscontrare elementi pittoreschi oltre a soffermarsi sull’irrazionalità delle passioni. Ma il suo capolavoro, «I miserabili» (1862), viene collocato in una epoca assai più vicina a quella nel quale l’autore visse (il periodo post napoleonico) e, più orientato al sociale, non può essere considerato un romanzo storico in senso stretto.

Nel Settecento la produzione romanzesca italiana fu di infimo valore, per lo più formata da imitazioni di modelli inglesi o francesi, con la celebre eccezione delle «Ultime lettere di Jacopo Ortis» del Foscolo, terminata nel 1798, anche se per la prima pubblicazione bisognerà aspettare il 1801. Il romanzo foscoliano, di forma epistolare, non  si può ritenere un romanzo storico. È possibile constatare un forte legame fra la vicenda storica (caduta della Repubblica di Venezia) e la vicenda individuale, ma il punto di vista strettamente soggettivo (che risulta prevalente), fa sì che non ci sia la ricostruzione di un mondo e di un’epoca che è fondamentale per un qualsiasi romanzo storico.

L’anno sicuramente importante per lo sviluppo del romanzo storico in Italia fu il 1827. Alessandro Manzoni terminò la prima stesura (la seconda definitiva risale al 1840) del suo capolavoro, che catapulta il lettore nella Milano del Seicento, dopo aver letto con grande interesse la «Historia Patria» dello storico milanese Giuseppe Ripamonti ed aver a lungo meditato sulle caratteristiche, sugli scopi ed i propositi del genere letterario che avrebbe utilizzato (successivamente nel 1845 lo scrittore pubblicò il saggio «Del romanzo storico ed in genere de’ componimenti misti di storia e invenzione»). Manzoni sicuramente apprezzava i romanzi di Scott e la lettura di «Ivanhoe» gli era stata di grande utilità per la stesura dell’«Adelchi» (tragedia che si colloca al tempo della discesa in Italia di Carlo Magno), ma tra i due scrittori vi sono profonde differenze. Infatti, mentre le opere di Scott volevano far appassionare e divertire i lettori, Manzoni con «I promessi sposi» scrisse un romanzo allo stesso tempo storico, religioso e morale. I lettori hanno il compito di comprendere di come sia il mondo, quale sia la natura delle relazioni umane, quale sia il profondo significato cristiano dell’esistenza e della storia. Nel prologo Manzoni afferma che l’opera altro non è che un manoscritto recuperato, espediente letterario di cui Scott fa uso in «Ivanhoe» (ed ampiamente utilizzato in romanzi scritti successivamente da altri autori). Inoltre afferma di aver svolto ricerche accurate tra i documenti originali e nei primi capitoli cita con precisione le norme del tempo. Con questi accorgimenti lo scrittore desidera fortificare il patto di fiducia con il lettore, evidenziando la verosimiglianza dei fatti raccontati. Sicuramente ne «I promessi sposi» gli episodi inventati ben si amalgano e si armonizzano con gli eventi storici accaduti nel milanese tra il 1628 e il 1630 (carestia, tumulto di San Martino, guerra per la successione al Ducato di Mantova, calata dei Lanzichenecchi, peste del 1630). L’enorme diffusione di questa  opera ebbe un peso determinante sullo sviluppo del romanzo storico in Italia.

Negli anni seguenti il 1827, all’interno del genere nacquero due «filoni», il primo denominato «manzoniano» (vicende di personaggi popolani, intento educativo, impegno morale), il secondo chiamato «scottiano» (ambientazione medievale, gusto dell’avventura, rapimenti, duelli, giostre), di più probabile successo, caratterizzato da un linguaggio allo stesso tempo semplice e coinvolgente. Un’ulteriore distinzione è possibile sul piano ideologico, perché diversi scrittori furono cattolici e moderatamente conservatori (si pensi a d’Azeglio e Grossi), altri invece furono repubblicani ed anche più progressisti  (vedi Guerrazzi e Nievo). 

Una particolare attenzione meritano i romanzi storici post-unitari, che seppero trattare il tema dei sogni risorgimentali ed in special modo delle forti speranze andate in fumo, dato che il 1860 fu solamente la prima tappa di un lungo processo che ebbe termine molto tempo dopo con la conquista del Triveneto. Con l’intenzione di mettere alla berlina le verità ufficiali, create appositamente dal potere, gli autori presenti nell’ultima parte del secolo XIX narrarono pertanto l’Italia reale, che era presente nelle campagne e nelle piazze, molto spesso nella disperazione e nella povertà. È opportuno prendere ad esempio «Il ventre di Napoli» (1884) di Matilde Serao, oppure «I Viceré» di Federico De Roberto, dato alle stampe nel 1894 o come «Il Gattopardo», che verrà pubblicato oltre mezzo secolo più tardi. La famiglia degli Uzeda è, in quest’opera, il passato feudale che muore e non necessariamente nasce una società più giusta. Rimanendo in un contesto siciliano e su alcune questioni del Risorgimento meridionale, pure «I vecchi e i giovani» di Luigi Pirandello è per alcuni critici letterari considerato un romanzo storico (sebbene vengano trattati accadimenti temporalmente vicini allo scrittore). Redatto nel 1899, pubblicato a puntate nel 1909 su «Rassegna contemporanea» ed in volume, corretto, nel 1913, secondo quanto affermato dallo stesso Pirandello è il «romanzo della Sicilia dopo il 1870, amarissimo e popoloso romanzo, ove è racchiuso il dramma della mia generazione».

Nei primi anni del Novecento, quando era al massimo splendore una corrente come il Futurismo e si riteneva giusto andare oltre i modelli ottocenteschi e cancellare la narrazione tradizionale, il romanzo storico conobbe sicuramente minor fortuna. L’eccezione fu, per quanto riguarda la narrativa popolare, il romanzo d’appendice (si pensi a «I Beati Paoli» di Luigi Natoli, dato alle stampe a puntate tra il 1909 e il 1910 ed ambientato nella Palermo del XVIII secolo) e, per quanto riguarda il piano letterario le opere di Riccardo Bacchelli. Notevoli, in special modo, il romanzo «Il diavolo al Pontelungo» (1927) e la successiva trilogia «Il mulino del Po» (1938-1940), di oltre mille pagine, caratterizzata da un notevole lavoro di ricerca. Lo scrittore  presenta, grazie a tre generazioni, un secolo di storia dall’inizio dell’Ottocento alla Grande Guerra. Particolare la figura di Carlo Alianello, l’alfiere del revisionismo del Risorgimento, che nel 1942 pubblicò «L’Alfiere», ambientato all’epoca della spedizione dei Mille. Nella seconda metà del XX secolo Alianello dette alle stampe diversi romanzi storici revisionistici come «Soldati del Re» (1952), «L’eredità della priora» (1963), «La conquista del Sud» (1972). Nel secondo dopoguerra e più precisamente nel 1958 uscì, postumo, «Il Gattopardo» di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, probabilmente il più famoso tra i romanzi storici italiani a livello internazionale (anche per la pellicola cinematografica di Luchino Visconti). La Sicilia borbonica al tramonto che viene raffigurata è un mondo che cambia, rimanendo allo stesso tempo uguale a sé stesso. Restando in ambito siciliano, non è possibile non menzionare «Il consiglio d’Egitto» di Leonardo Sciascia, pubblicato nel 1963. Il romanzo descrive la città di Palermo del Settecento, dove vive ed opera un abile falsario il quale «crea» un antico codice arabo che potrebbe negare ogni legittimazione ai privilegi dei baroni siciliani. Inoltre è opportuno soffermarsi sulla scrittrice, saggista e filologa Maria Corti, il cui romanzo «L’ora di tutti», narra le vicende della battaglia di Otranto con la quale i Turchi conquistarono nel 1480 la città salentina, che nel XV secolo era considerata uno dei porti più strategici della regione, venne pubblicato nel 1962. «La Storia» di Elsa Morante, uscita nel 1974, venne ritenuta un evento di grandissima importanza sul piano letterario e anche editoriale. La scrittrice volle un prezzo di copertina molto basso, per sottolineare la destinazione popolare della sua opera, che ottenne uno strepitoso successo. Secondo alcuni critici la Morante riprese e rilanciò il romanzo storico. L’opera viene collocata in un tempo nel quale la scrittrice ha vissuto (seconda guerra mondiale) quindi, rifacendosi alle definizioni del genere riportate all’ inizio dell’articolo, ritenere «La Storia» un romanzo storico può sembrare molto discutibile.

Negli ultimi anni del Novecento e fino ai nostri giorni il romanzo storico ha suscitato nuovamente interesse. Nel 1980 Umberto Eco conseguì uno strepitoso successo con il bellissimo affresco medievale «Il nome della rosa», riportando in auge il genere. Da allora si iniziò a parlare di «romanzo neostorico». Gli episodi raccontati da Eco accadono nel 1327 in un territorio non identificato tra l’Italia settentrionale e la Francia meridionale. Come già avevano fatto Scott e Manzoni, nell’introduzione il romanzo si afferma altro non essere che un manoscritto trovato e riadattato dal passato.
I numerosi romanzi storici pubblicati, a partire dagli anni ottanta del Novecento fino ad oggi, possono ritenersi una contraddizione, considerando purtroppo la mancanza di prospettiva storica tipica della cultura postmoderna. Tuttavia è una contraddizione apparente, poiché il filone postmoderno si distacca da quello ottocentesco proprio nel non proporre una concezione forte, organica e positiva della Storia. Pertanto il romanzo neostorico rifiuta ogni pensiero storicistico di progresso. Gli scrittori contemporanei non posseggono alcuna fiducia nell’evoluzione della civiltà, ma essi stessi sono i primi ad avere un atteggiamento critico verso la Storia. Il successo dei nuovi romanzi storici va di pari passo con la crisi delle ideologie e la sfiducia nel divenire. Il presente ritenuto troppo squallido favorisce il rifugiarsi in un passato lontano. Il passato non rappresenta più la ricerca delle origini, ma solamente una fuga dalla realtà, oppure una realtà che non è possibile conoscere ed interpretare, quanto quella del presente. È opportuno considerare che il successo del romanzo storico non è un evento solo italiano, ma coinvolge tutta la narrativa postmoderna (basta menzionare gli americani Don DeLillo e Thomas Pynchon). Nel 1988 venne pubblicato «Le menzogne della notte» di Gesualdo Bufalino, che ottenne numerosi premi letterari, e nel 1990 «La lunga vita di Marianna Ucrìa» di Dacia Maraini, che parla della violenza patita da bambina da una gentildonna sordomuta e del suo desiderio di riscatto, nella Palermo del Settecento. Nel 1994 venne dato alle stampe uno dei libri fondamentali della narrativa contemporanea, «Sostiene Pereira» di Antonio Tabucchi, che può essere considerato un romanzo storico in quanto viene ambientato nella Lisbona nel 1938, durante il regime salazarista.

Nel XXI secolo, uno scrittore del genere di notevole successo in Italia è Valerio Massimo Manfredi, che compone romanzi storici ambientati nell’epoca antica, in special modo ellenistica e romana. Con numerosi best seller (dalla trilogia «Aléxandros» a «L’ultima legione» a «Il mio nome è Nessuno»), Manfredi è stato tradotto in parecchie lingue. Comunque il romanzo storico, o neostorico, è praticato da diversi scrittori tra loro molto differenti, che hanno avuto esperienze diverse, famosi oppure alle prime armi, che lavorano in diverse regioni d’Italia. Il genere viene trattato dalle case editrici famose come da quelle appena nate e vi fanno parte romanzi che si caratterizzano per ricostruzioni storiche attendibili, romanzi che danno uno spazio maggiore all’invenzione dell’autore, romanzi letterariamente molto curati ed altri che hanno lo scopo precipuo di appassionare e far divertire i lettori. Al di là dell’ambientazione storica, è veramente problematico evidenziare elementi comuni tra le opere in questione. Di successo e pregevoli sono le opere storiche di Andrea Camilleri, come «Il birraio di Preston», «La concessione del telefono» e «La mossa del cavallo». Carlo Lucarelli ha pubblicato diversi gialli ambientati in epoca fascista («Carta bianca», «L’estate torbida», «Via delle Oche»). Pure Antonio Scurati ha voluto scrivere un romanzo storico, intitolato «Una storia romantica». Alcune opere, che hanno ottenuto il Premio Strega in tempi recenti, si caratterizzano per possedere un’ambientazione storica, come per esempio «Vita» di Melania Gaia Mazzucco, «Il dolore perfetto» di Ugo Riccarelli, «Stabat Mater» di Tiziano Scarpa e «Canale Mussolini» di Antonio Pennacchi.

 

 

6 commenti

  1. Ho letto l'articolo ed è interessantissimo davvero. La mescolanza tra realtà e fantasia mi sembra decisiva per definire un romanzo storico: si parte da documenti o dati incontestabili, fermo restando che ci sono parecchi errori e imprecisioni nei documenti stessi, o nelle testimonianze, e si lavora su quello che io chiamo "i coni d'ombra" della Storia per lavorare di fantasia. L'importante è che i personaggi creati abbiano il carattere della verosimiglianza. L'unico mio dubbio è fino a che punto lo scrittore di romanzi storici possa spingersi per inventare. Faccio un esempio per spiegarmi meglio: in "Amadeus" di Peter Shaffer il drammaturgo è stato accusato di aver alterato completamente i personaggi sia di Mozart che di Salieri, facendoli diventare il primo un genio semidemente e il secondo un compositore senza nessun talento. Eppure il dramma e di conseguenza il film è una splendida rappresentazione di che cos'è il genio e del dramma dell'invidia. Mi piacerebbe sapere che cosa ne pensano gli altri visitatori del sito.

  2. Ti ringrazio Cristina per aver letto ed apprezzato il mio articolo. Ritengo che il dubbio che tu hai, cioè "fino a che punto lo scrittore di romanzi storici possa spingersi per inventare", possa trovare risposta in quanto hai scritto nel tuo intervento :"L'importante è che i personaggi creati abbiano il carattere della verosimiglianza". Inoltre desidero ringraziare Isabel per aver pubblicato su questo blog, davvero apprezzabile per i contenuti e la grafica, alcuni miei articoli.
    Giampiero Lovelli

  3. In effetti, Giampiero, alle volte le distorsioni sui personaggi, come nel caso che ho citato di "Amadeus" elevano i personaggi a tipi di uomini. Certo, per quanto è possibile è bene rispettare le fonti, se ve ne sono, altrimenti occorre inventare. Per periodi particolarmente tardi, come in quello su cui sto scrivendo io (1100) le fonti sono avare o lacunose, per cui ad un certo punto bisogna prendere il coraggio a quattro mani e decidere. 🙂 Grazie ancora per il tuo articolo e a Isabel per l'ospitalità. Alla prossima!

  4. Io ringrazio voi, Giampiero e Cristina, per i vostri preziosi contributi!

    Io sono dell'opinione che un personaggio storico non debba essere stravolto nelle sue caratteristiche fondamentali, ma al contrario essere rispettato quanto della sua storia si conosce. Certo ci possono essere, come accade in molti casi, degli approfondimenti che vanno un po' in controtendenza alla "versione ufficiale" delle vicende ed è molto interessante dare spazio ad essi, ma personalmente aborrisco quando trovo nomi e personaggi usati in maniera del tutto arbitraria per raccontare vicende o dimostrare tesi che non "c'azzeccano" nulla. Come diceva Giampiero è fondamentale la verosimiglianza di quanto si racconta, armonizzato con il contesto. I personaggi di fantasia che gli si affiancano consentono sicuramente di dare più respiro alle storie.
    🙂

  5. Vorrei dare un'ulteriore opinione al dibattito, su una questione che egoisticamente mi riguarda la vicino. Nella mia saga La Colomba e i Leoni mi trovo a scrivere di due personaggi notissimi per chi bazzica con i Templari, ma anche avvolti nella leggenda: Hugues de Payns e Geoffroy de Saint-Omer, i due cofondatori dell'ordine del Tempio. Mentre del primo si conoscono due cose due, tra le quali che fu il primo maestro templare, del secondo non si sa nulla. Di recente mi sono imbattuta in un albero genealogico del secondo che mi ha confuso ancor più le idee in quanto di Geoffroy non c'è nemmeno l'ombra. Ci sono altri nomi simili, ma vi assicuro che niente coincide. Tutto questo per dire che a volte lo scrittore di romanzi storici si trova nelle secche assolute e non sa bene che cosa fare. E quindi per uscire dalle secche deve lavorare di fantasia, rispettando la verosimiglianza, con buona pace degli storici e chiedendo perdono ai suoi lettori, pochi o tanti che siano.

  6. Cristina, da brava scrittrice di romanzi storici ti documenti sui personaggi che saranno presenti nella tua opera, e fai molto bene!!! Certamente non sempre si ha a disposizione tutto il materiale che si vorrebbe e l' uso della fantasia è inevitabile in alcuni casi!! Sottolineo, comunque, l' importanza di documentarsi non solo sui personaggi ma anche sull' epoca storica in cui si ambienta il romanzo (da evitare errori come citare pietanze che in una determinata epoca non esistevano) e sui mutamenti del territorio in cui è ambientato il testo ( per esempio la scomparsa di fiumi, laghi, zone paludose, città, ecc.). Ecco perchè come dice Isabel "è fondamentale la verosimiglianza di quanto si racconta, armonizzato con il contesto". Quello che desidero dire che la verosimiglianza non deve riguardare solo i personaggi del libro!!
    Giampiero Lovelli

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